I collegamenti che fanno i nostri figli sono strani, indiretti, a volte sconclusionati (per un adulto), ma spesso sorprendenti. E le cose che passano, che si ricordano sono quelle che riusciamo a comunicare con le emozioni. Partendo da molto (ma molto lontano): “cos’è un essere vivente?”, “La Palestina è su un altro pianeta?”, Juan è arrivato ai nonni. Ci sono la nonna Carla, la nonna Rosa e il nonno Roso (abuelo Nando viene spesso ricordato così). Che sono mamme e papà miei e di Ale. E quindi quando Juan avrà dei figli, noi diventeremo i loro nonni.
Finchè Juan arriva al papà di Ale che non c’è più, dicendo: “e allora se c’era il tuo papà avrebbe chiamato Pippo me e Mariana”, ricollegandosi ad una cosa che Ale aveva detto mesi fa. Una sola volta e senza più tornare sull’argomento. E cioè che suo papà a volte la chiamava con il soprannome di Pippo.
E continua: “Anche tu, se vuoi, puoi chiamarmi Pippo. Domani mattina, quando mi svegli, mi dici – Dai Pippo alzati!”.
C’è un bisogno di famiglia, un desiderio di fare l’esperienza di figlio, di trovare i modi possibili per esserlo attingendo anche alle cose belle che raccontiamo noi, della nostra esperienza di figli.
E’ sorprendente come una cosa da cui è ormai passato qualche mese abbia lasciato questo segno positivo. Non sono i tormentoni che rimangono nella memoria, ma le emozioni. Ed è anche sorprendente il continuo lavorio di “sistemazione” delle parentele che si svolge dietro alle quinte per affiorare in cerca di conferme con i collegamenti più esotici.